Ripenso al viaggio verso casa.
Alla ricerca della pace.
Alle nuvole che si trasformavano in pennellate di azzurro/blu cobalto su un cielo che volgeva al sereno.
Alle altre nuvole che volteggiavano, lasciando scie di zucchero filato.
Ripenso alla bellezza del verde, alberi infiniti che lasciavano intravedere le radici al di sopra del ponte, al di sopra del pullman, ed io che ne ammiravo, commossa, le vette, come una bimba al suo negozio di giocattoli preferito, distesa sterminata a vista d'occhio di chiome fiere, resistenti alle intemperie, alla bruttura dell'uomo, ai secoli che avanzano, nonostante tutto.
E nella mia amata e adorata terra, chilometri intervallati da ammassi di pietre abbandonate e qualche rudere, che tramanda la storia della notte dei tempi, dove il lavoro era fatica, dedizione, costruzione.
Quanto amo questi colori. Questa fierezza. Questo senso di appartenenza.
Che non gioca mai sui luoghi comuni.
Ma tiene stretto a sè il mondo che ha generato.
Le sue origini. I suoi profumi. I suoi colori.
E quando ne calpesto i ciotoli, scorgo ogni centimentro della mia sarditudine e ringrazio il cielo.
Per tutta l'antichità, le mura, le Chiese, i giardini, le piazze, che hanno sorretto il tempo che avanza e accresciuto il significato di essere ciò che siamo.
Innamorati della terra che ci ha generato e isolani, fieri di esserlo.
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